“Venezia” è un famoso pezzo del noto cantautore Guccini.
La canzone è dedicata a una donna, Stefania, morta dando alla luce il figlio. All’inizio si potrebbe pensare sia il marito a parlare, ma secondo me no. Per me è un amico di famiglia, probabilmente il compagno di giochi di Stefania (Stefania d’estate giocava con me nelle vuote domeniche d’ozio).
Paragona la donna alla famosa città di Venezia. Tanto bella all’apparenza, ma che nasconde un triste destino. Una Venezia ossessionata che cerca di disfarsi di questa sua ossessione (la dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi, Venezia, la vende ai turisti).
È un sogno, un fantastico sogno, che si può avere con un semplice biglietto comprato in un agenzia di viaggio. Però dura, quanto? Una settimana? Un mese? Ma poi finisce. Non la si vive come quotidianità, apprezzandone i pregi, ma con la consapevolezza che ha dei difetti (Venezia è anche un sogno, di quelli che puoi comprare, però non ti puoi risvegliare con l’acqua alla gola, e un dolore a livello del mare).
La bella città vista dagli occhi dei turisti, non è la stessa vista da chi ci vive da anni. Anche la cosa più bella ha delle cose negative, che si vedano o meno (il Doge ha cambiato di casa e per mille finestre c’è solo il vagito di un bimbo che è nato, c’è solo la sirena di Mestre).
Perché quando muore una persona, muore un pezzo delle stessa Venezia. E lui ha sofferto molto quando è morta Stefania e si domanda se gli altri, parenti compresi, hanno sofferto come lui (Stefania affondando, Stefania ha lasciato qualcosa: novella 2000 e una rosa sul suo comodino, Stefania ha lasciato un bambino. Non so se ai parenti gli ha fatto davvero male vederla morire ammazzata, morire da sola, in un grande ospedale).
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