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La buona novella di Fabrizio de Andrè

La buona novella

Questa creazione di De Andrè, curata da Roberto Dané e con arrangiamenti di Gian Piero Reverberi, è un ritorno al tema religioso da parte dell’autore. Si tratta ovviamente dell’ottica preferita di De André, cioè quella di un Gesù molto più umano e terreno di quanto non abbiano descritto le scritture ufficiali. Infatti, l’ispirazione del cantautore affonda le proprie radici nei Vangeli Apocrifi, dove il Cristo è meno divino e più mortale.

Il protagonista è necessariamente il figlio di dio, però la sua storia è raccontata attraverso le persone che lo circondano. E’ la storia di Giuseppe e Maria che viene raccontata, senza ipocrisie e veli religiosi, e, cosa più importante, viene raccontata senza voler giudicare né con la pretesa di criticare o elogiare il cristianesimo, nel quale, tra l’altro, De Andrè crede.

Questo album è uscito nel 1970, a ridosso delle rivendicazioni e occupazioni studentesche: tra le fila di chi aveva già proclamato De André come il nuovo cantautore laico dell’Italia in mano alla DC si gridò al tradimento. Uno sguardo più attento e delle dichiarazioni successive dello stesso De André dovrebbero rivelare all’ascoltatore come Gesù, umano, fosse un rivoluzionario tanto quanto gli studenti che parteciparono alla lotta del ’69 e come, analogamente,la sua figura si stata manipolata.

Inoltre, per quanto l’album rimanga neutrale sul mistero della fede, è molto facile notare una critica, sempre presente, alla gerarchia ecclesiastica e all’ipocrisia di quest’ultima nel trasformare la religione in legge. La canzone “Il Testamento di Tito” è un’accusa forte e lucida delle contraddizioni della chiesa, la quale troppo spesso dimentica i principi di Cristi per seguirne degli altri o per imporre regole in nome di un dio troppe volte silenzioso.

Categories: Musica Pop Recensioni

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matteo