E’ tornato con un nuovo album uscito l’11 maggio quello che probabilmente è il più brillante interprete della musica e della filosofia Classic Rock in Italia, di certo quello che è il più amato. Luciano Ligabue è tornato con un’opera in piena coerenza col suo passato e che aggiunge non molto alle sonorità e al “way of life” a cui ci ha abituato in questi ultimi anni. Infatti, i classici topoi dell’artista emiliano ci sono tutti: la vita concepita come un viaggio nel quale il tempo non dev’essere buttato, l’amore celebrato sempre e comunque.
Non è mai stato un innovatore il Liga e non è sicuramente per la sua capacità di riproporsi il motivo per cui è tanto amato. Piuttosto, anche in quest’album si rivela un abile confezionatore di canzoni di presa immediata, sciolte, col giusto tocco di amarezza e malinconia che non guasta. Chi ha amato fino ad ora il Ligabue che va da ‘Buon compleanno, Elvis’ a ‘Nome e cognome’ non rimarrà senz’altro deluso. Ciononostante, c’è spazio anche per una manciata di canzoni che sono capolavori a tutti gli effetti, come spesso capita nei suoi album. Canzoni che possono essere amate anche da chi non ha tra il maggior numero di ascolti sull’iPod i singoli di Luciano, canzoni che non fanno altro che impreziosire il repertorio di belle canzoni che l’artista emiliano ha prodotto specialmente nella prima parte della sua carriera.
‘Nel tempo’ ha un attacco quasi punk che sorprende, un pezzo brillante e autobiografico che omaggia il proprio vissuto e che piacerà sicuramente ai coetanei di Ligabue per il testo, che ricorda alcuni momenti di storia come il concerto dei Police a Reggio, il processo a De Gregori, le uccisioni di Falcone e Borsellino.
‘Caro il mio Francesco’ è una lettera esplicitamente indirizzata a Guccini ed è una sorta di attualizzazione della mitica ‘Avvelenata’. Una bella ballata nella quale il Nostro si dimostra sorprendentemente polemico con gli “espertoni” di musica che lo hanno sempre criticato senza dare mai troppa attenzione alla sua musica e, soprattutto, con molti colleghi pseudo-alternativi che si autodefiniscono puri che, pur di apparire sulla prima pagina di un giornale patinato, sarebbero disposti a dar via la madre. Ma nel finale l’invettiva si rivela anche un emozionante celebrazione dei suoi fans autentici, quelli che hanno voglia di ascoltarlo e di ballare le sue canzoni.
‘Il peso della valigia’ è il brano più delicato dell’intero album, soffice e poetico. Un momento di grande riflessione emotiva che si rivela essere forse quello più classicamente “cantautoriale”.
‘Quando mi vieni a prendere?’ è l’apice della carriera di Luciano. Non è uno scherzo. Una canzone scioccante sotto tutti i punti di vista, per il testo, per la tematica, per l’interpretazione. Liga racconta l’episodio drammatico dell’uccisione di una maestra e di due bambini in un asilo ma non si tratta di una semplice narrazione dei fatti accaduti. Sono sette minuti da vivere trattenendo il fiato. Non ho molto altro da raggiungere perchè è un’esperienza da vivere in maniera assolutamente personale che non può non lasciare spazio a interpretazioni soggettive. Uno di quei capolavori che rimangono indelebilmente nella storia della musica italiana.
Per il resto, è un album piuttosto standard. Non sono brutte canzoni dal momento che sono davvero poche le brutte canzoni che Liga ha scritto. Orecchiabili, cantabili ma solo quelle sopra citate accendono veramente la miccia.
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