In questa canzone, suonata in modo appassionato dal suo autore, troviamo la nostalgica memoria della gioventù, del primo innamoramento e il piacere dello stesso ricordo. Non poteva non realizzare questo brano nel suo dialetto, uscito nel 1979 nell’album L’Era del Cinghiale Bianco, anche se si tratta di un esperimento unico, poiché il cantautore catanese non ci ha più regalato il piacere di ascoltarlo in siciliano.
Una volta, durante un concerto, affermò di non essere in grado di cantare bene in siciliano, ma vista la sua scarsa capacità con l’inglese, con il quale invece ha un rapporto più continuativo, non vedo perché non provare a realizzare altri esperimenti nel suo dialetto.
Comunque, siamo fortunati ad avere almeno questa canzone: dolce, passionale, da ascoltare con gli occhi chiusi per concentrarsi su ogni suono. Infatti, Battiato non smentisce mai il proprio pubblico con la costante ricerca di una perfetta armonia nei suoi brani. Gli strumenti, le armonie sono esattamente come dovrebbero essere ed è impossibile immaginare, per qualsiasi sua canzone, di cambiare anche la più piccola nota.
Il testo, benché in siciliano, è piuttosto comprensibile e pur non arrivando a comprendere tutte le parole, certo è che si capisce di cosa si sta parlando. L’innamoramento adolescenziale, quello che ti coglie quando ancora non si conosce affatto l’argomento, che ti fa venire un fremito nelle ossa, come dice più o meno l’autore stesso nel testo.
Questa stranezza dell’amore, traducendo rozzamente il titolo, è tale da farci dimenticare tutto ciò che c’è intorno. Al solo passaggio dell’amata, il mondo descritto nella canzone sembra svanire e condensarsi nei suoi passi, nelle sue forme e non sembra esserci altro. Ennesima dimostrazione che per Battiato l’amore è un argomento serio, assolutamente denso di significato ed è per questo che riesce a descriverlo sempre meravigliosamente.
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