Con la solita ironia graffiante, il buon Rino ci offre questa canzone nel suo stile unico, inconfondibile, irripetibile e inarrivabile. Come in altre canzoni, si ha un dialogo ideale tra due personaggi di estrazione sociale profondamente diversa.
Il dialogo è puramente immaginario e portato all’estremo, ma è grazie alla realtà portata agli estremi che il più delle volte si scoprono contraddizioni e realtà nuove. Ovviamente, il dialogo si rivela poi un monologo, in quanto il ricco non ha la benché minima voglia né l’interesse per ciò che succede al povero.
Infatti, in questo brano ritroviamo il tema della disparità sociale, degli squilibri nella distribuzione delle ricchezze. Ci vengono presentati gli eccessi del re, la sregolatezza immotivata di una classe talmente ricca da superare di così tanto la soglia della necessità da raggiungere una dimensione di vita totalmente sfrenata e priva di contegno.
Non si tratta di una critica, non è un’accusa: è una constatazione di come la realtà del mondo sia tutto sommato tragica. Due terzi del pianeta vive in una condizione così inferiore rispetto all’unico terzo ricco da far pensare a una profonda ingiustizia terrena.
Tuttavia, nella canzone si nota una forza intrinseca in chi fatica a guadagnarsi la paga ogni mese, una determinazione che ovviamente manca a chi non ha mai dovuto faticare nemmeno un po’ per riempire la sua vita. La follia sta che questi ultimi sembra vogliano riempire la loro vita di cose inutili e di frivolezze.
In questo senso, la canzone che in apparenza dà l’impressione di essere una canzonetta rivela un messaggio più nascosto e dirompente ad un orecchio attento: la dignità del lavoro non sta nei soldi che si portano a casa a fine mese!
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