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Echo and the Bunnymen – “The Fountain”

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Gruppo post-punk di Liverpool formatosi nel 1978. La formazione originale da allora è cambiata più volte. Il line-up originale era con il vocalist Ian McCulloch, il chitarrista Will Sergeant, il bassita Lee Pattins ed il batterista Pete de Freitas (che nel 1980 sostituì la drum machine che usavano fino ad allora).

Il loro album di debutto ottenne un grande successo, è intitolato “Crocodiles” ed entrò immediatamente nella UK Top 20. Il secondo album, “Heaven Up There”, nonostante le cattive previsione, acquista direttamente la decima posizione nella chart. A metà degli anni Ottanta entrano a far parte del mainstream e ottengono uno status di culto. Gli album successivi (“Porcupine, 1983, “Ocean Rain”, 1984, “Echo and the Bunnymen”,1987), ottennero tutti un grande successo commerciale.

Dopo questi successi, la band si scioglie, McCulloch decide di proseguire da solista e De Freitas muore in un incidente in moto. “Reverberation” esce nel 1990, con una nuova formazione, ma non sarà più come prima, né il pubblico, né la critica accettano bene questo lavoro. Producono molte altre cose, McCulloch ritorna a far parte della band.

“The Fountain” è il titolo dell’ultimissimo album, uscito ad ottobre, con “Think I Need it to” come singolo di presentazione. Poco prima dell’uscita stessa di questo singolo, muore Jake Brockman, il tastierista, sempre in un incidente in moto. Questa band ha una storia davvero travagliata.

A riguardo dell’ultimo album ovviamente non ha nulla a che vedere con quelli che li hanno resi famosi, e che hanno dato alla band lo status di leggende, ma lo stile è mantenuto pressoché uguale. C’è da dire però che anche le varie perdite in fatto di musicisti che hanno subito, hanno portato al cambiamento della sonorità, toglie il timbro specifico della loro musica.

Il primo singolo mantiene la linea dei loro classici, la voce molto sonora di McCulloch si mantiene in primo piano. Tra le canzoni, “Proxy” è forse la più interessante, ma anche “Drivetime” è bella, così come “Life of 1,000 Crimes”. Un album da ascoltare, ma se si vuole conoscere davvero la band, è essenziale andare a sentire i primi lavori.

Categories: Musica Recensioni Rock

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matteo