Io della vita non ho capito un cazzo, famoso pezzo di Caparezza, è un atto del cantante di distinguersi dagli altri, dai suoi colleghi, che vogliono solo essere famosi. A lui non interessano fama e soldi, preferisce rimanere fedele ai suoi ideali. “io sono cazzaro alla radice, sono felice nella fece, dovrei piangere ed invece…”, lui vuole restare semplice, non gli importa se questo comporta pochi soldi e poca fama.
“Io non faccio spettacolo, io do spettacolo come mio nonno ubriaco nel giorno della mia comunione. Talmente fuori di melone che ho parenti per niente contenti di portare il mio stesso cognome”. Caparezza non ha avuto un infanzia facile, anzi. I suoi punti di riferimento, quelli di ogni bambino, non erano un granché.
“macché voglia di fama, sono un morto di fame. Macché posto a tavola, ho la ciotola come un cane”. Qui ribadisce il concetto che lui non cerca fama e soldi, non è come tutti gli altri cantanti e come la gente lo etichetta. Lui preferisce essere semplice e, piuttosto che essere famoso, scendere più in basso del semplice. Essere una nullità, un animale.
“Costruisco tufo su tufo un futuro che mi vede ufo”. Ma non cerca di distinguersi solo da chi cerca fama e soldi, vuole anche dissociarsi dalla attuale società in generale. Quindi si da dell’ufo, cioè una persona che vive in un mondo tutto suo. Una persona diversa, che a volte viene definita pazza. Un po’ quasi come i barboni che spesso vivono per strada per scelta personale, per non farsi condizionare dalla società e soprattutto dalla tecnologia e dal progresso.
L’unica certezza è che finisco male, muore Caparezza tutti al funerale. È paradossale, ma io non vengo, non ci tengo, mamma quanti dischi venderanno se mi spengo!”. Il nostro cantante è convinto che solo quando morirà sarà apprezzato da tutti, un po’ come i quadri dei pittori. Ma è successo anche a molti altri cantautori italiani.
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