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Alexandra Burke e l’halleluja

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Vi sono delle canzoni che è come se portassero con sè l’impronta del loro autore e soprattutto del loro primo esecutore, e sarebbe meglio se tali canzoni rimanessero in un certo senso intoccabili.

Una di queste canzoni è senza dubbio l’Hallelujah di Leonard Cohen. Dalla sua prima registrazione avvenuta nel 1984, l’Hallelujah è stata ripresa in quasi duecento cover e solo un paio possono considerarsi realmente degne dell’originale: si tratta delle versioni di Jeff Buckley e di k.d. lang. Le altre non rendono giustizia a un brano così particolare e perfetto già nella sua versione originale.

Un esempio di come rovinare un capolavoro come l’Hallelujah di Cohen è dato dalla cover di questo brano eseguita da Alexandra Burke, vincitrice della quinta edizione del talent-show inglese X-Factor.

La canzone è stata trasformata in un qualcosa a metà strada fra il motivo pop e la ballata romantica. La Burke manca di qualsiasi tipo di emozione nell’eseguire questo brano e quando la si ascolta si ha più che altro l’impressione di ascoltare una litania eseguita dall’ennesima Leona Lewis.

In questo caso non si vuol mettere in dubbio il talento o la bravura di Alexandra Burke, ma più che altro la sua idoneità ad eseguire un brano come l’Hallelujah. Si tratta di una canzone infarcita di riferimenti biblici, con uno sfondo e un significato spirituali e religiosi, come la maggior parte delle creazioni di Cohen che prima ancora di essere cantautore è poeta.

La voce della Burke va sicuramente bene per fare di lei la prossima reginetta del pop inglese, motivo per cui nascono programmi quali X-Factor e affini, ma l’interpretazione di un brano come l’Halleluja andrebbe lasciata ai maestri, o meglio ancora direttamente a colui che l’ha composto e che sa trasmettere un mare di emozioni ad ogni singola interpretazione.

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matteo