Tradizionalmente terra di cowboys, l’America ha da sempre sfornato artisti country che in un modo o nell’altro sono poi riusciti a sfondare anche a livello mondiale. Si pensa a Faith Hill, Tim McGrath, o alla canadese Shania Twain.
La chiave del loro successo internazionale sta nell’aver saputo combinare il loro genere, il country appunto, a sonorità più pop o rock per strizzare l’occhio anche al pubblico europeo e mondiale.
In questo periodo pare essere il turno di Taylor Swift, una giovane ragazza del sud degli Stati Uniti che dopo aver conquistato gli USA sbalzando persino Britney Spears dai vertici delle classifiche, si accinge a conquistare anche il vecchio continente con la sua Love Story.
Taylor è anche compositrice di questa e delle altre canzoni che interpreta. I testi rasentano la banalità, tutti incentrati su storie d’amore più o meno tragiche, ragazzi infedeli, pianti e disperazione da parte della malcapitata. Insomma, le tipiche canzoni da adolescente non proprio talentuosa.
Love Story vuole essere una sorta di rivisitazione della storia di Romeo e Giulietta, ma in realtà diventa un insieme di luoghi comuni e situazioni al limite del ridicolo tipiche di certe canzoni scritte per attirare un certo pubblico. La musica è orecchiabile ma sa di già sentito più e più volte, simile a molte altre delle canzoni di Taylor stessa.
I protagonisti della canzone sembrano vivere un amore contrastato dal padre di lei, che si identifica in Giulietta, e di conseguenza chiama l’amato Romeo. Il tutto, però, si conclude con lui che si riappacifica con il padre e la chiede in sposa. Insomma, un festival dello stucchevole in piena regola.
Viste le premesse, Taylor Swift ha tutti i requisiti per sfondare anche nel nostro Paese, tra melodie identiche, testi insignificanti e il solito aspetto da Barbie preconfezionata.
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